Per fortuna gli uomini cominciano a capire che essere femministi va anche a loro vantaggio. Ho voluto chiedere al mio amico Matteo Botto, educatore e ideatore del progetto Contronarrazioni sulle discriminazioni, di raccontarmi perchè tutti gli uomini dovrebbero essere femministi.


Oggi è ancora difficile pensare che femminista sia un possibile aggettivo della parola uomo.

Per spiegarvi il motivo per cui mi definisco così, proverò a strutturare questo mio discorso in forma di dialogo. Il mio interlocutore è il Matteo del passato, quello che si è fatto molte domande e che ha dovuto riflettere molto prima di poter abbracciare il femminismo.

“Femminista”. Quindi odi gli uomini come te?

Assolutamente no, non sono misandrico. Infatti, “femminismo” non è l’opposto di “maschilismo”.

Allora perché ti definisci femminista?

Perché credo nella parità politica, sociale ed economica tra i generi. Inoltre, concepisco il femminismo come intersezionale e quindi inclusivo, volto ad intrecciarsi con altre lotte come quelle LGBTI+ e quelle contro il razzismo e l’abilismo [NdMarvi se non sai cos’è l’abilismo lo spiega Irene Facheris in questo video di “Parità in Pillole”].

Uhm, ma non sarebbe meglio dire “sono per i diritti umani”?

Non si metterebbe in luce che c’è un problema di genere, ossia che viviamo in una società dove nascere donna non ti dà le stesse opportunità personali e lavorative di un uomo. Difatti, possiamo immaginare il “movimento per i diritti umani” come un arcobaleno di cui il femminismo è una delle molteplici sfumature.

Non si può dire lo stesso del maschilismo, che non si è mai impegnato per promuovere una società inclusiva e che ha un significato solamente negativo.

Inoltre, si parla di “femminismo” perché è un movimento nato dalle donne, ed è giusto che ciò venga riconosciuto.

Sì, ok, bella la cosa dell’arcobaleno, ma tu sei un maschio! Che c’entri con sto femminismo?

C’entro perché questo sistema maschio-centrico (v. patriarcato) non opprime solo le donne, ma in parte anche gli stessi uomini.

In che modo?

Obbligandoci spesso ad aderire a standard (v. mascolinità tossica) come: forza fisica, stipendio più alto della propria partner, non piangere per non essere una “femminuccia”, non vestirsi di rosa sennò “sei una checca”, essere più alto della propria partner, non fare lavori di cura perché sono femminili, e così via. Insomma, tutti standard che richiedono di prevaricare sulle donne e di non avere caratteristiche considerate come “femminili” per un semplice motivo: “l’uomo è superiore alla donna”.

Possiamo immaginare il “movimento per i diritti umani” come un arcobaleno di cui il femminismo è una delle molteplici sfumature. Non si può dire lo stesso del maschilismo, che non si è mai impegnato per promuovere una società inclusiva e che ha un significato solamente negativo.

Io non voglio vivere in una società dove vi sono degli standard imposti acriticamente.

Se voglio uscire con una felpa fucsia, lo faccio.

Se voglio cantare Beyoncé ad una festa karaoke, lo faccio.

Se voglio tingermi i capelli di azzurro, lo faccio.

Se voglio lavorare in un asilo nido, lo faccio.

E tutto ciò non deve essere definito come “una cosa da femmina” o “da frocio”, ma come una libera scelta.

Il femminismo lotta anche per questo.

Secondo me esageri: a scuola tua sorella ha sempre giocato con le pistole anche se sono una cosa “da maschio”!

Verissimo, ma con me non è successa la stessa cosa: quando all’asilo le mie maestre mi hanno visto “giocare alla casa” con le altre bambine, mi hanno separato dal gruppo e mi hanno portato in giardino a giocare a calcio. Ciò è avvenuto perché il patriarcato considera come positivo tutto ciò che è maschile, ma non tutto ciò che è femminile. Se una donna cerca di fare qualcosa “da maschio” non viene sanzionata come un uomo che cerca di fare qualcosa “da femmina”. Difatti, ci sono ancora genitori che si allarmano se il proprio figlio gioca con un bambolotto, mentre dovrebbero esserne felici perché è un modo per sviluppare intelligenza emotiva.

Quando all’asilo le mie maestre mi hanno visto “giocare alla casa” con le altre bambine, mi hanno separato dal gruppo e mi hanno portato in giardino a giocare a calcio.

La questione comunque è complessa dato che le donne sono comunque ostacolate in ogni ambito, anche quando tentano di ricoprire ruoli considerati come “maschili”: si vedano come esempi il fenomeno del glass ceiling (impossibilità delle donne di raggiungere alte cariche di potere nelle istituzioni e nelle aziende) e tutte le forti offese sessuali ricevute dall’On. Boldrini quand’era Presidente della Camera.

Il femminismo lotta anche per questo.

Sì, va beh, adesso lascia perdere i bambolotti e parliamo di cose serie: le statistiche dicono che i morti sul lavoro sono principalmente uomini! Quindi non sempre le donne sono svantaggiate!

Vero, ma questo perché il patriarcato ha sempre impedito alle donne di svolgere certe mansioni – anzi, in tempi non lontani non permetteva loro di lavorare relegandole in cucina. Infatti, se oggi una donna fosse libera di diventare una muratrice o un’operaia metalmeccanica, sono certo che la differenza di genere nelle morti bianche si abbasserebbe di molto (anche se l’auspicio è che scendano a 0 il prima possibile).

Il femminismo lotta anche per questo.

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Ok, ma vogliamo parlare della violenza sulle donne? Non si parla mai di quella sugli uomini!

Non se ne parla perché gli uomini hanno paura a denunciare. Perché? Per paura di essere derisi o non compresi. Infatti, è ancora comune pensare una donna che ti slaccia i pantaloni senza il tuo consenso sia un sogno erotico, quando invece è una violenza. Anche sui giornali spesso l’uomo che subisce uno stupro viene descritto in modo ironico, spesso come “vittima” tra virgolette.

E tutto ciò nasce sempre dal patriarcato, che sanziona gli uomini che si mostrano deboli o che si fanno “sottomettere”.

Il femminismo lotta anche per questo.

Vabbè… Ma non è che ti prendi uno spazio delle donne? Voglio dire, una battaglia femminista va combattuta da una femmina!

Mi definisco “femminista”, ma non mi sostituisco ad una donna. Proprio come una persona eterosessuale non può capire al 100% la mia paura quando ho fatto coming out con i miei genitori, ci sono sensazioni che da uomo (bianco) non potrò mai capire a fondo. Un esempio tra tutti, la paura di essere violentato tornando a casa da solo alla sera.

E’ ancora comune pensare una donna che ti slaccia i pantaloni senza il tuo consenso sia un sogno erotico, quando invece è una violenza.


Oppressed Majority” (2010) è un cortometraggio di Eléonore Pourriat che immagina come può essere l’esperienza di un uomo che subisce violenza sessuale in una società matriarcale. “I wanted it to be not so realistic but frightening”, ha detto l’autrice al “The Guardian”.

Nonostante ciò, penso che la comunità LGBTI+ a cui appartengo sia riuscita e riuscirà a far valere i propri diritti anche (ma non solo!) grazie al supporto degli allies eterosessuali. Quindi penso che questa questione di genere possa essere superata anche (ma non solo!) grazie al supporto degli uomini. Un supporto che non si limiti alle parole e che richieda loro di rimettere in discussione i loro privilegi, e di utilizzarli per dare voce ad una società più equa.

Se ciò non avviene, la parola “femminismo” si svuota del suo significato politico e si trasforma in un semplice trend del momento, eliminando anni di lotte portate avanti dalle donne nel secolo scorso. Ciò sta alla base delle critiche che alcune persone femministe fanno verso gli uomini che si definiscono “femministi” solo per moda senza riflettere su tutta la presa di coscienza che esso richiede – e condivido pienamente.

Detto ciò, credo che non sia giusto che mia sorella sia pagata meno di me.

Credo che non sia giusto che la mia coinquilina si faccia dei problemi su com’è vestita quando esce.

Credo che non sia giusto che una mia amica venga licenziata perché incinta.

Credo che una mia collega non debba essere ritenuta disumana se cerca la sua realizzazione nella carriera invece che nella maternità.

Insomma, credo che dovremmo essere tutti femministi.

Per lottare per una società più giusta.

Insieme.

Matteo Botto è un educatore professionale socio-pedagogico ed è laureando in Scienze pedagogiche a Torino. Lavora come tutor BES e DSA e conduce un progetto di ricerca basato sulle storie di discriminazione (ControNarrazioni, www.contronarrazioni.com).

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