Quando è uscito “Hang the DJ”, l’episodio di Black Mirror incentrato su una intelligenza artificiale che crea i match tra le persone (ci dice qualcosa?) mi sono tenuta lontana dagli spoiler nei feed dei social network. Avevo bisogno di tempo, di trovare il momento giusto per vederlo. Così sono passati degli anni.
Non ho mai assunto droghe e sono astemia, ma immagino che l’effetto che ho provato quando l’ho visto sia paragonabile a un ex tossicodipendente o alcolista che incappa in un film, libro, serie tv che racconta il contesto che lui ha attraversato.
Osmosis: la serie tv su Netflix
Prima di vedere “Hang the DJ”, colta da curiosità, ho visto tutta la stagione su Netflix di una serie TV francese, Osmosis, che racconta un futuro prossimo in cui una piattaforma impiantandoti dei nano-robot nel corpo ti promette di farti conoscere la tua anima gemella, quella con la quale instaurare una vera e propria “osmosi” di sensi e sentimenti. Quel concetto del “siamo una cosa sola”. Il match al 100%.
Eppure, Osmosis mi ha delusa. Non ho trovato un approfondimento delle dinamiche da dating che mi aspettavo, buona parte della serie è incentrata sulla sparizione e la ricerca della compagna del protagonista, Paul, e nel momento in cui si affronta l’innamoramento di una intelligenza artificiale verso l’essere umano che l’ha creata, Esther, l’occasione sembra banalizzata, appiattita, sprecata. In confronto, è mille volte più interessante come affronta il tema un film come “Her”.
Le parentesi in cui Esther testa il “competitor” della sua startup tramite un visore VR che le permette di incontrare altri utenti, sono già più autentiche nel raccontare come va realmente il mondo del dating online: a lei non interessa il romanticismo o i convenevoli, vuole solo il sesso. Eppure questi passaggi non bastano a controbilanciare la piattezza generale del racconto e la sua incapacità di affrontare il tema dell’incontro con l’Altro – sia esso un partner occasionale o romantico – mediato da tecnologia. In fin dei conti, Osmosis si rivela una serie TV sulle dinamiche amorose e i conflitti familiari, con qualche twist d’azione derivato da una sotto-trama di spionaggio industriale. L’aspetto tecnologico finisce per scivolare sullo sfondo: la tecnologia di Osmosis è solo un accessorio e non crea un mondo distopico come accade invece nell’episodio di Black Mirror.
“Hand the DJ”: recensione dell’episodio di “Black Mirror”
“Hang the DJ” mi ha fatto dannatamente male per l’aderenza con cui rappresenta certe dinamiche ricorrenti delle dating app, copioni che io, avendole frequentate per anni, conosco a memoria. L’imbarazzo mentre siete a cena o a bere un drink, la sensazione di essere messi alla prova come a un talent show: devi essere performativo, hai solo poche ore per far colpo sull’altro (e il tempo è un altro fattore tiranno imposto dal sistema di “Hang the DJ”).
La problematica del trovare una location dove fare sesso, che in questo episodio è risolta a monte con una navetta senza conducente, per azzerare qualsiasi interferenza umana, che conduce le coppie “matchate” a un appartamento predisposto per quello. I momenti di tensione sessuale o disgusto in stile “Cat Person”, quando siete in camera da letto. La sensazione che “dobbiate” farlo. Sfruttare l’occasione del bagno per chiudersi in un confessionale e decretare dentro di sé il consenso: quando torni in camera da letto sai che sei già in scena e non puoi sottrarti perché sei uno dei protagonisti dello show e non c’è tempo da perdere, il pubblico ha pagato il biglietto. Il sesso in sé, poi, è spesso la reiterazione di una coreografia acrobatica da porno mainstream. La questione del dormire insieme, infine, temuta e quando possibile bypassata nella vita fuori dalle serie TV, in questo episodio è imposta tramite convivenza forzata che va può andare da una notte ad anni insieme. E proprio lì, la notte, la protagonista torna più volte a cercare la mano del partner di turno: è l’unico gesto “romantico” che puoi azzardare in una dinamica occasionale. Ma presto ti accorgi che è come stringere la mano di un cadavere e che fai prima a mettere a tacere le tue richieste di affetto.
Certo, ogni tanto anche nella rappresentazione di “Hang the DJ” entra del romanticismo, nei sospiri dei due protagonisti che si separano e ritrovano e sanno di essere fatti l’uno per l’altra. Quando scorgo quel romanticismo, in una deformazione professionale io lo scosto, come se fosse una ragnatela davanti ai miei occhi. Io voglio vedere il disagio e la frustrazione sentimentale che c’è dietro, per ritrovarmici. Uno dei simpatici doni che Tinder mi ha lasciato è il cinismo, come racconto nel mio libro “Tinder and the City”. Non che io sia contenta di questa dose saltuaria di anaffettività che le dating app mi hanno sparato endovena, anno dopo anno. Ma a un certo punto di quella mia discesa negli inferi – e nella dipendenza dalle dinamiche sessuali da fast food – è diventata necessaria, salvifica. Ti permette di costruirti una corazza per sopravvivere alla giungla degli appuntamenti al buio.
Quella corazza potrebbe salvarti la pelle se ad esempio lui ti dovesse chiedere “posso pensare alla mia ex?” proprio mentre lo state facendo. Un’altra delle cose che accade in “Hang the DJ” e che è accaduta anche a me nella “real life”: una volta, giusto dopo aver finito, un ragazzo di Tinder ha cominciato a farmi vedere sul suo cellulare le foto della sua ex e di tutte le ragazze con cui era stato, vantandosene come fossero trofei. Il punto qui non è tanto perché lui lo abbia fatto dato che non glielo avevo chiesto – concetti come patriarcato e maschilismo mi sono ormai molto noti – ma che io non mi sia sottratta dal subire quella frustrazione.
L’amore e i suoi algoritmi
“L’app dice che abbiamo il 98% di compatibilità”: è un messaggio che mi son ritrovata più di una volta a ricevere, a percentuali variabili, su un’app come OkCupid, che ha il vantaggio di profilarti con molte domande sia all’iscrizione che durante il suo utilizzo, per auto-ottimizzare i propri match. Lo scopo sarebbe proprio quello di farti trovare il tuo “match 100%”. In realtà però l’algoritmo non dirà veramente tutto di noi e delle nostre relazioni. Come emerge anche in “Hang the DJ”, i meccanismi predittivi sono gabbie e l’umanità e l’amore continuano a nascondersi negli scarti casuali e incontrollati che sfuggono agli algoritmi, per trarsi in salvo. Nei bug di sistema. Eppure, in un effetto-Truman Show, gli algoritmi continuano a influenzare e costruire le nostre vite e relazioni: OkCupid nel proprio blog anni fa ha ammesso di aver condotto un esperimento manipolatorio, falsando i match degli utenti e scoprendo che le persone a cui veniva mostrato un profilo con compatibilità alta erano molto più propense a mandargli un messaggio.
Se tu sapessi in anticipo il finale di una storia, rivivresti lo stesso quella relazione, con anche i suoi dolori?
L’aspetto della predestinazione mi ha fatto subito pensare al film Eternal Sunshine of a Spotless Mind. Rimane uno dei miei film preferiti. Era anche il preferito di un mio ex, che mi ha lasciata il giorno di S. Valentino. Lo avevo conosciuto su Tinder. Quel film mi ha lasciato una domanda alla quale tutt’oggi non so rispondere: se tu sapessi in anticipo il finale di una storia, rivivresti lo stesso quella relazione, con anche i suoi dolori? E che conseguenze ci sarebbero nel cadere nella tentazione di sbirciare il futuro di una relazione, nell’essere tu quello che morde la mela?
E come fare una esperienza extracorporea: c’era solo un pene che entrava dentro una vagina.
In un passaggio di “Hang the DJ” la protagonista dice di essere stanca di tutti gli appuntamenti che l’app le propone (impone): è come fare una “esperienza extracorporea”, dice, “c’era solo un pene che entrava dentro una vagina”.
Io so esattamente cosa significa.
Hai mai avuto l’impressione di osservarti fare sesso dall’esterno, come se la tua essenza si slegasse dal tuo corpo?
A volte ho immaginato di vederla seduta sulla poltrona di fronte, quell’altra me. Oppure osservarmi appesa al lampadario del soffitto, come un mostro penzolante, lo sguardo vacuo. Un alieno che contempla un amplesso.
Per alcuni come me, essere saliti sulla giostra di Tinder ha significato vivere la corsa con quella sensazione di scollamento e alienazione. Quando sei su un’attrazione da Luna Park che va a mille all’ora, i capelli ti si scompigliano per l’accelerazione, i tratti facciali ti si deformano, i vestiti ti si gonfiano per il vento, si staccano dalla tua pelle, sei eccitata e perdi il controllo di te. E se non stai attenta puoi perdere anche dei pezzi, durante la corsa. Ecco, più vai veloce, più ti allontani da te. Quanto all’Altro, beh, non è mai stato davvero vicino, neanche quando eravate pelle contro pelle.