Dato che se ne è parlato diffusamente bene, ero curiosissima di vedere “Storia di un matrimonio”, film di produzione Netflix con regia di Noah Baumbach e protagonisti Scarlett Johansson (che è la mia attrice preferita dopo Angelina Jolie) e Adam Driver (che io ad oggi conoscevo solo per la magistrale interpretazione di Kylo Ren negli ultimi episodi di Star Wars e per alcuni episodi della serie HBO di Lena Dunham Girls). Poi, lo ammetto: la Johansson è un mio sogno erotico dai tempi di Match Point di Woody Allen così come quella scena di Driver a petto nudo in Star Wars ha fatto salire l’ormone a diverse persone.
Attenzione: la recensione conterrà spoiler.
“Qualcuno che ti stringa così forte e che odi tanto”
Già dall’inizio in cui Nicole racconta cosa ama di Charlie – scopriamo poi essere una lettera richiesta da un mediatore per accompagnare la coppia nel percorso di separazione – si percepisce qui e là una insofferenza di lei nel confronti del partner.
Questo esercizio è interessante: se pensiamo ai nostri ex, quanto sarebbe difficile oggi scrivere una lettera in cui elenchiamo i lati positivi, quelli che ce ne hanno fatto innamorare? Certo, la difficoltà di un esercizio simile dipende anche da quanto tempo è passato dalla separazione e soprattutto le dinamiche della rottura.
A me, che sono abituata a seppellire emotivamente e mentalmente i miei ex, risulterebbe difficilissimo. Probabilmente scriverei la lettera ma poi mi rifiuterei di leggerla ad alta voce proprio come Nicole.
Marriage Story mi ha suscitato sentimenti vicini a Eternal Sunshine of a Mind (uno dei miei film preferiti della vita): del resto sono entrambe storie di rottura che delineano un percorso che va dalle farfalle allo stomaco iniziali, la tipica fase in cui in coppia ci si sente i padroni del mondo, al progressivo deterioramento dei sentimenti.
Tornando indietro, saremmo stati ancora con quella persona? Ne è valsa la pena? Cosa cambieremmo?
Ma soprattutto: chi ha sbagliato?
Perché in ogni rottura così come c’è una conta delle vittime, c’è anche – di solito – la ricerca ossessiva per l’assegnazione della colpa (che probabilmente comincia già prima di finire in tribunale e nonostante tutte le buone intenzioni di evitarlo, come succede ai protagonisti di Marriage Story).
Man mano che Nicole e Charlie vanno avanti nel percorso doloroso della separazione, i loro ritratti che sembravano perfetti all’inizio, delineati reciprocamente nelle loro lettere, si intorbidiscono.
Di Charlie scopriamo che ha tradito e che ha messo al primo posto la propria carriera, almeno a detta di Nicole.
Nicole dal suo canto si è fatta andare bene anni di relazione mettendosi da parte: ma davvero possiamo addossare la colpa di questo al 100% al marito? Le responsabilità spesso sono al 50 e 50, tranne ci siano coercizione psicologica o fisica, ma Charlie non appare un manipolatore nè un violento.
Come impariamo – si spera – dopo una rottura, addossare colpe non porta da nessuna parte, una volta che è finita. Piuttosto, dopo una rottura possiamo capire molto di noi stess*: cosa cercavamo, cosa ci è mancato, perché abbiamo lasciato che accadesse.
Chiudere un rapporto con l’Altro ne apre uno nuovo (man mano più onesto?) con noi stess*.
E chi è questo Altro che dall’uomo/donna della nostra vita passa da un giorno all’altro a essere un nemico in casa, un perfetto estraneo?
Il ritratto è contenuto nella scena di climax finale in cui Charlie si improvvisa a cantare le parole di Being Alive:
Someone to hold you too close. Someone to hurt you too deep. Someone to sit in your chair, to ruin your sleep.
Being Alive
Quell’Altro da Te è qualcuno che ami e odi tanto, che ti conosce profondamente e con cui hai condiviso molto, che ti stringe troppo forte tra le braccia e che finisce per rovinarti il sonno… ma che ti fa sentire vivo/a.
Questa altalena di sentimenti contrastanti fa da guida a tutto il percorso di Nicole e Charlie, fino alla scena centrale della discussione tra loro che parte con tutte le buone intenzioni da entrambi e finisce con una lite furibonda in cui Charlie augura addirittura la morte a Nicole, poi si scusa crollando ai suoi piedi in lacrime di fronte a una Nicole attonita.
Quando hai amato tanto, puoi odiare così tanto.
A una madre non è concessa l’imperfezione: il monologo di Laura Dern nel film
Il film per me vale tanto anche per la scena in cui Laura Dern che interpreta l’avvocatessa di Nicole, Nora, le dà delle dritte su come raccontarsi all’assistente sociale.
In questo monologo Nora delinea con durezza il doppio standard sulla condotta dei padri e delle madri: ai padri perdoniamo le imperfezioni, alle madri no perché devono aderire al canone di donna e madre altamente improbabile rappresentato dalla Vergine Maria (“e il padre non c’era neanche, era in cielo!”).
Il 6 gennaio ci saranno le premiazioni dei Golden Globe e Marriage Story è candidato per miglior film drammatico, migliori attori ai protagonisti e a Laura Dern, migliore sceneggiatura e colonna sonora. Stay tuned!